Schwa, questə sconosciutə
Alla domanda “come superare il maschile sovraesteso nella lingua italiana?”, una risposta che non può mancare e di cui si parla sempre più di frequente è proprio lo schwa. Si tratta di un carattere che viene utilizzato come desinenza alternativa per rivolgersi a una moltitudine mista composta di persone di cui non si conosce l’identità di genere o persone che non si identificano all’interno del binarismo di genere maschile-femminile (non-binarie).
Lo schwa è un simbolo che appartiene all’alfabeto fonetico internazionale e rappresenta la vocale media centrale, pronunciabile senza deformare in alcun modo la bocca diversamente dalle altre vocali. Si tratta di “un suono neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità”, riporta Treccani. Lo schwa ha goduto ultimamente di una inedita popolarità grazie al lavoro di divulgazione della sociolinguista Vera Gheno, che ha raccontato di essersi avvicinata all’uso di questo simbolo fonetico facendo una ricerca sulle strategie esistenti per rivolgersi anche a persone non binarie, anche all’interno della comunità LGBTQIA+ in Italia. Gheno sottolinea quindi di non essere stata lei a proporre per prima l’utilizzo della vocale centrale media come desinenza inclusiva, quanto piuttosto di una proposta partita dalle stesse soggettività coinvolte e dal progetto Italiano inclusivo.
Lo schwa sostituisce le desinenze maschili e femminili, nascondendo la marcatezza del genere grammaticale altrimenti insito nella lingua italiana, e fornisce una strategia alternativa e leggibile per superare l’uso dell’asterisco ma anche dello sdoppiamento maschile/femminile, non del tutto inclusivo.
Perché piace? Lo schwa permette di risolvere alcuni problemi su cui tornavano ciclicamente le critiche relative all’asterisco: non è un segno linguistico e comporta problemi di leggibilità. Lo schwa invece, essendo una vocale dell’alfabeto fonetico, è già presente nella nostra lingua (basti pensare ad alcuni dialetti italiani del meridione), non compromette l’estetica del testo e si può leggere facilmente.
È interessante citare le sperimentazioni in atto con lo schwa: la casa editrice EffeQ ha deciso di utilizzare lo schwa per la traduzione di un saggio brasiliano in cui si usa la forma alternativa e inclusiva “todes”. Moltə attivistə lo stanno già usando sia oralmente sia nello scritto e, seppure non sia possibile imporre convenzioni linguistiche, queste sperimentazioni sono necessarie per testare lo schwa e il suo potenziale.
Sono tuttavia emersi anche dei limiti: secondo alcune polemiche, a cui risponde Gheno in un’intervista, l’utilizzo della schwa sarebbe abilista e ageista, creando cioè problemi di leggibilità a chi soffre di problemi dell’apprendimento (dislessia) e alle persone più anziane. Come risponde Gheno, mentre la problematica dell’accessibilità alle persone anziane si ripresenta inevitabilmente per ogni novità, quella dell’abilismo è una critica del tutto lecita e si confida che saranno le nuove generazioni, spesso più attente in materia di discriminazioni, a proporre soluzioni che prendano in considerazione anche questo aspetto.
L’importante, insomma, è sperimentare e proporre soluzioni innovative per i problemi che ci si pone da tempo, consapevolə che la lingua non può essere statica ma neanche prescrittiva: spetterà aə parlanti decidere se sarà con lo schwa che supereremo il maschile sovraesteso, o se bisognerà continuare a sperimentare.
di Jasmine Mazzarello, autrice di Bossy