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Misoginia online e gendertrolling

I social media non sono sempre uno spazio sicuro. Con la diffusione dei nuovi canali di comunicazione digitali si è sviluppato un fenomeno molto preoccupante definito “hate speech”, termine che si riferisce a discorsi di incitamento all’odio e alla violenza. Alcuni studi dimostrano che molti dei messaggi d’odio in rete sono rivolti alle donne. Nel 2020, Vox – Osservatorio italiano sui diritti, in collaborazione con alcune università, ha realizzato la quinta Mappa dell’Intolleranza, con lo scopo di analizzare e geolocalizzare i tweet contenenti messaggi sensibili nei confronti di alcuni gruppi sociali particolarmente discriminati. Il risultato è che dei tweet negativi raccolti nel periodo marzo-settembre 2020, il 49, 91% esprime odio e violenza contro le donne.

Il trend crescente della misoginia online è confermato anche da Amnesty International, che dal 2018 si occupa di misurare il livello di intolleranza e discriminazione nel dibattito online con il Barometro dell’odio, un monitoraggio dei social media realizzato con il contributo di attivistə. Per la terza edizione del progetto, la task force di Amnesty si è focalizzata sul sessismo da tastiera, poiché già nelle edizioni precedenti era emersa la preponderanza dell’odio di genere tra i contenuti analizzati. Tra novembre e dicembre 2019, per 5 settimane, sono stati raccolti e valutati i contenuti (post, tweet e commenti) relativi a 20 personalità influenti nel panorama italiano, 10 donne e 10 uomini. Dall’analisi risulta non solo che l’incidenza media degli attacchi personali diretti alle donne è maggiore di quella degli uomini, ma anche che 1 attacco su 3 rivolto a una donna è esplicitamente sessista.

Di solito i bersagli costantemente colpiti sono influencer molto famose, ma a volte accade che influencer giovanissime e meno conosciute diventino oggetto di ondate improvvise di messaggi offensivi e discriminatori, subendo quella che viene definita “shitstorm“, una tempesta di odio, disprezzo e intolleranza. In questo caso, il sessismo e la misoginia si scatenano in seguito a una sollecitazione dovuta ad affermazioni di media e politica in cui queste donne sono citate e attraverso le quali acquisiscono nuova visibilità. Una visibilità che si traduce però in episodi violenti di breve durata e che, in molti casi, terminano quando la donna attaccata chiude i suoi profili social. Le probabilità che una donna sia sommersa di odio aumentano quando questa si esprime su temi considerati “da uomini”, come l’informatica e i videogiochi, o quando parla di donne e diritti di genere (le femministe sono bersagli particolarmente colpiti dagli haters).

Gli episodi presi in esame nei diversi studi possono essere classificati come gendertrolling”.  Il termine gendertrolling indica gruppi di utenti (perlopiù uomini) chiamati gendertroll che in modo più o meno organizzato attaccano le donne in rete attraverso diverse forme di abuso, come insulti, molestie, minacce di stupro o di morte, spesso utilizzando identità e account fittizi. Il web è pieno di troll che si esprimono in modo scortese e offensivo per provocare e deridere altre persone, ma mentre i troll generici agiscono per puro divertimento personale, considerando gli scontri verbali sul web come uno scherzo, i gendertroll credono davvero in ciò che pubblicano. Il loro obiettivo non è solo quello di provocare la vittima, ma cercano di generare in lei terrore e vergogna per vincere la lotta che portano avanti: quella per allontanare dal cyberspazio le donne che esprimono liberamente la propria opinione.

di Rossella Mormile, autrice di Bossy

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