IL NOSTRO MANIFESTO DI LINGUAGGIO INCLUSIVO – Parte 2
Il linguaggio inclusivo – come abbiamo visto nella prima parte di questo manifesto – è una pratica di ascolto e miglioramento costante.
Se dovessimo paragonarlo a una disciplina sportiva potremmo immedesimarci all’arrampicata. Esistono attrezzature e tecniche, occorre una preparazione fisica adeguata ma è nella pratica che si impara a vedere gli appoggi giusti e migliorare la propria capacità di affrontare la salita.
La conseguenza è che l’atteggiamento corretto è strettamente legato alla ricerca e alle domande che possiamo porci per migliorare il nostro linguaggio, la nostra capacità di descrivere il mondo e la possibilità che diamo agli altri di poter parlare e descrivere il loro punto di vista.
Procediamo in questo percorso affrontando altri cinque temi che possiamo considerare fondamentali per migliorare il nostro modo di costruire ponti.
6. SIAMO IL TUTTO, NON SOLO UNA PARTE
Nessuno di noi vorrebbe essere descritto in base alle proprie disabilità che non è una malattia ma una condizione e quindi migliorabile con i corretti supporti. Partendo dalla lingua possiamo cercare di modificare gli stereotipi che rendono i nostri spazi sociali accoglienti e non stigmatizzanti. Ad oggi, la disabilità non è più descritta come problema di un gruppo minoritario, ma un’esperienza che tutti nell’arco della vita possono sperimentare. Infatti ognuno di noi può per motivi fisici, mentali o culturali trovarsi in una condizione di difficoltà temporanea o permanente. Meglio utilizzare termini come “persone con disabilità” che mettono l’essere umano al centro ed eliminare termini come “handicappato” o “invalido”.
La disabilità non esaurisce la persona: è una condizione, uno stato, una caratteristica e i tipi di disabilità (ipovedente, paraplegico, bipolare, etc) dovrebbero essere usati come aggettivi e non sostantivi. Al di là delle singole espressioni, è importante cercare di non parlare con pietismo o compassione e chiederci sempre come creare un ambiente non ostile.
7. RAZZISMO, POPULISMO E STIGMATIZZAZIONE CORPOREA INCONSAPEVOLI SONO RADICATI
Un linguaggio anti-razzista, anti-populista o anti-grassofobia è un linguaggio che contrasta le pratiche del razzismo e della discriminazione per provenienza etnica o caratteristiche corporee. Solitamente chi ha un pensiero discriminatorio mette in atto una narrazione tossica e stereotipata su persone di etnia diversa o con corpi considerati non conformi. Non occorre essere dichiaratamente violenti per essere razzisti ma è sufficiente non includere nella narrazione le soggettività coinvolte.
Il razzismo non è una semplice colpa individuale ma un fenomeno strutturale da combattere politicamente perché spesso radicato in una cultura ricca di riferimenti razziali e con una dimensione collettiva del rancore.
Cosa fare per esercitare un linguaggio inclusivo? É importante non utilizzare le generalizzazioni che alimentano stereotipi e pregiudizi; decentrare il nostro punto di vista; ascoltare storie di vita differenti e riportiamole nei nostri discorsi senza presupporre emozioni ed esperienze altrui.
8. PARLIAMO CON RISPETTO DELLE PERSONE LGBTQ+
Dato che le parole possono qualificare chi è descritto e allo stesso tempo chi parla, è importante saper dire i termini giusti per superare modelli a volte offensivi. Il modo in cui parliamo di qualcuno si appoggia fortemente sul pronome in quanto identifica e assegna un genere alla persona di cui stiamo parlando. “Lei/lui” danno già un’importante informazione sul soggetto di cui stiamo parlando, attribuendo un’identità di genere che potrebbe non corrispondere con quella che la persona in questione sente come propria. La necessità di usare il pronome giusto, specificato da ogni persona, nasce dalla differenziazione tra sesso, identità di genere ed espressione di genere: con sesso si intende quello anatomico, “assegnato” alla nascita; con identità di genere è il modo in cui una persona si percepisce, come si riconosce e si definisce (tra gli estremi del classico spettro “femminile-maschile” ci possono essere tantissime espressioni di identità); l’espressione di genere è il modo in cui si presenta il proprio genere al mondo. Le azioni, il modo di vestire, l’atteggiamento, e anche il linguaggio. Il come ci si mostra agli altri è la personale espressione di sé. Ricordiamo
sempre di chiedere alla persona come vuole essere indicata senza nessun tipo di presupposizione.
9. EVITIAMO LO PSEUDO LINGUAGGIO SCIENTIFICO
Oggi “essere inclusivi” è un trend che sempre più realtà appoggiano con il rischio di praticare “pink o rainbow washing”. Questo accade quando le politiche adottate nella
gestione delle risorse umane non lo sono e questi valori passano esclusivamente dalla comunicazione. In generale occorre evitare una comunicazione generalizzata senza punti di riferimento specifici si caratterizza perché:
● non vengono fornite informazioni o dati significativi che supportino quanto dichiarato nel messaggio;
● vengono date informazioni e dati dichiarandoli certificati quando invece non sono riconosciuti da organi accreditati e autorevoli;
● vengono enfatizzate singole caratteristiche dei prodotti pubblicizzati, ritenendole di per sé sufficienti a classificarli come inclusivi;
● si utilizzano termini come “noi” o “nostro” includendo un gruppo che si senta rappresentato ma nello stesso tempo si crea un altro gruppo, quello degli “altri”.
Questo fenomeno si chiama “altrizzazione” e rappresenta la tendenza a individuare un altro a cui magari addossare la colpa.
10. INCLUDIAMO ANCHE ATTRAVERSO LE IMMAGINI
Fino ad ora abbiamo parlato di linguaggio ma molte delle regole che abbiamo affrontato dovrebbero essere in termini di comunicazione inclusiva perché le immagini hanno altrettanto potere che le parole. Possiamo pensare immagini inclusive le foto che non discriminano, stigmatizzano e facilitano la comprensione per ogni persona in termini di colori, leggibilità e possibili testi alternativi.
Rappresenta una comunicazione accessibile l’utilizzo di font della corretta dimensione, diminuire l’utilizzo di emoticon ed emoji che corrispondono a noiose descrizioni per chi utilizza i lettori dello schermo, ed anche mostrare persone di differenti etnie, corporeità, culture religiose.
Abbiamo concluso il nostro percorso in questo modo di vedere e descrivere il mondo, e speriamo possa essere la lingua un mezzo di cambiamento culturale, uno strumento di confronto e non scontro ma soprattutto il nostro sguardo sulla realtà che muta e ci insegna
quanto non esiste il concetto di “normale”.
Testo: Elena Codeluppi di B*inclusive
Grafiche: Giacomo Guido di B*inclusive
Editing: Tommaso Granelli di B*inclusive